
Articolo del 09/06/2023
Il tumore alla prostata è la forma di neoplasia maligna più frequente nell’uomo adulto. Colpisce prevalentemente sopra i 60 anni rappresentando un importante problema di spesa sanitaria. Basti pensare che nei Paesi Occidentali costituisce circa il 15% di tutti i tumori nella popolazione maschile.
Come tutti i tumori, deriva da una crescita incontrollata delle cellule della prostata, ovvero la ghiandola localizzata tra vescica e uretra, anteriormente al retto. Per la prevenzione del tumore alla prostata è molto importante la diagnosi precoce.
La buona notizia è che se diagnosticato e curato tempestivamente la probabilità che la malattia abbia un esito infausto è bassa.
Ne parliamo con il dottor Barrese, urologo della Clinica ArsBioMedica.
I fattori di rischio
Tra i principali fattori di rischio per l’insorgenza del tumore alla prostata ci sono:
- l’età: le possibilità di ammalarsi sono molto scarse prima dei 40 anni, mentre aumentano considerevolmente dopo i 50 anni e circa 2 tumori su 3 sono diagnosticati dopo i 60 anni.
- la familiarità: il rischio di ammalarsi è pari al doppio in chi ha un parente consanguineo (padre, fratello etc.) con questo tumore rispetto a chi non ha nessun caso in famiglia.
I fattori di rischio modificabili
“Fin qui i fattori di rischio cosiddetti non modificabili – osserva lo specialista -. Esistono poi anche alcuni fattori di rischio modificabili, che possono favorire l’insorgenza e lo sviluppo della malattia, legati allo stile di vita. Tra questi, in particolare:
- sovrappeso e obesità
- sedentarietà”.
L’importanza della diagnosi precoce
Il tumore della prostata è asintomatico, pertanto è di vitale importanza la diagnosi precoce, innanzitutto con dosaggio del PSA (dosaggio dell’antigene prostatico specifico) e visita urologica dai 50 anni in poi (con cadenza indicata dallo specialista urologo in base agli eventuali fattori di rischio), da anticipare se c’è familiarità diretta per questa neoplasia.
Se nella maggior parte dei casi il tumore alla prostata rimane confinato e cresce molto lentamente, al punto da non essere diagnosticato per anni, in altri, invece, può risultare molto aggressivo e diffondersi velocemente ad altre parti del corpo. Inquadrarne correttamente la tipologia e il livello di aggressività è indispensabile per poter mettere a punto la strategia terapeutica più efficace e meno invasiva.
Come si diagnostica?
L’algoritmo diagnostico corrente si basa su: anamnesi, esame digito-rettale, dosaggio dell’antigene prostatico specifico (Psa) e biopsia prostatica ecoguidata.
l’anamnesi: L’anamnesi è il primo e fondamentale passo per avere un inquadramento corretto del paziente e consiste nella raccolta dei sintomi e della storia clinica del paziente e dei suoi familiari.
esame digito-rettale: L’esplorazione rettale permette a volte di identificare al tatto la presenza di eventuali noduli a livello della prostata.
dosaggio del PSA: il dosaggio del PSA è un test semplice e non invasivo che richiede un semplice prelievo di sangue. “Il PSA è un enzima che mantiene fluido il liquido seminale, contribuisce quindi a mantenere una corretta viscosità dello sperma, indispensabile per garantire la motilità degli spermatozoi. Viene prodotto e secreto dalla ghiandola prostatica (o prostata) e può essere dosato nel sangue. Ogni cellula della prostata produce una quantità costante di PSA, esistono tuttavia 3 situazioni patologiche in cui la produzione aumenta quando le cellule prostatiche degenerano in tumore (la produzione è 10 volte superiore): quando le cellule prostatiche sono infiammate; in caso di iperplasia prostatica, in presenza di tumore alla prostata.
L’aumento del PSA, quindi, indica che qualcosa non va a carico della prostata, ma non ci indica la patologia che ne determina l’innalzamento: infiammazione, iperplasia e cancro. È la correlazione con l’anamnesi e i dati clinici del paziente che può indirizzare verso la corretta diagnosi”.
la biopsia prostatica ecoguidata: La biopsia multipla ecoguidata è indispensabile in caso di sospetto palpatorio alla visita specialistica o di alterazione del PSA e rappresenta l’unico esame in grado di identificare con certezza la presenza di cellule tumorali.
“La biopsia, che viene effettuata ambulatorialmente e in anestesia locale, consiste in una sola puntura, con apposito ago, a livello del perineo (la zona tra i testicoli e l’ano), da cui si prelevano dei piccoli campioni di tessuto prostatico che vengono poi analizzati al microscopio per rilevare o escludere la presenza di cellule neoplastiche”.
Innovazione tecnologica con la biopsia prostatica fusion
In ArsBioMedica è disponibile anche un nuovo tipo di biopsia prostatica, chiamata fusion, che permette di eseguire biopsie in modo ancora più mirato e preciso, ma allo stesso tempo meno invasivo, grazie a un programma che fonde le immagini dell’ecografia e della risonanza magnetica precedentemente eseguite.
“La biopsia prostatica in fusione di immagini, o biopsia fusion, è una biopsia alla prostata che viene eseguita in modo mirato su aree sospette per tumore segnalate alla Risonanza Magnetica Multiparametrica.
In pratica si trasferiscono le informazioni della risonanza sull’immagine ecografica tridimensionale, permettendo così di “mirare” in modo molto preciso. Nella biopsia standard le immagini ecografiche non consentono di individuare eventuali aree sospette, pertanto si prelevano campioni di tessuto in maniera ‘random’. La fusion permette, invece, di sfruttare l’accuratezza delle immagini della Risonanza Magnetica per individuare e campionare solo le aree sospette, anche di piccole dimensioni, con meno prelievi. In questo modo si può massimizzare e velocizzare la diagnosi del tumore alla prostata riducendo la necessità di ricorso a biopsie multiple, incrementando la diagnosi dei tumori più aggressivi e riducendo quella dei tumori a più lenta crescita”, conclude lo specialista.